Le epidemie e pandemie nella storia

Quali sono state le principali epidemie e pandemie nella storia? In questo articolo trattiamo questo argomento.

La storia dell’uomo, così come quella degli animali, è stata caratterizzata da decine di epidemie e pandemie causate da virus ignoti e da altri che abbiamo imparato a conoscere molto bene. Nell’ultimo secolo, per esempio, la tristemente famosa influenza spagnola del 1918 contagiò mezzo miliardo di persone uccidendone almeno 50 milioni, anche se alcune stime parlano di 100 milioni di morti.

La maggior parte delle pandemie hanno un’origine animale. Sono, cioè, delle zoonosi. In alcuni casi nascono dalla stretta convivenza tra persone e animali da allevamento e sono poi favorite dai grandi agglomerati urbani con elevata densità abitativa. Altre epidemie, invece, sono state determinate dalla colonizzazione e dalla conquista di nuovi territori: virus e batteri sconosciuti ai sistemi immunitari delle popolazioni autoctone hanno causato vere e proprie stragi. Ne è un esempio il periodo della conquista spagnola in America del Cinquecento, quando il vaiolo uccise quasi tre milioni di indigeni mesoamericani e contribuì all’invasione dei conquistadores europei molto più di fucili e moschetti.

Sia gli adulti sia – in maggior numero – i bambini contraggono malattie dai loro animali domestici. Molte sono semplici fastidi, ma alcune sono diventate in passato faccende molto più serie. I peggiori killer dell’umanità nella nostra storia recente (vaiolo, influenza, tubercolosi, malaria, peste, morbillo e colera) sono sette malattie evolutesi a partire da infezioni degli animali, anche se i microbi che le causano sono al giorno d’oggi esclusivamente caratteristici della specie umana. Poiché queste sono state le principali cause di morte per lungo tempo, sono anche state fattori decisivi nel corso della storia. Nelle guerre fino alla seconda mondiale, le epidemie facevano molte più vittime delle armi, e le cronache che esaltano la strategia dei grandi generali dimenticano una verità ben poco lusinghiera: gli eserciti vincitori non erano sempre quelli meglio armati e con i migliori strateghi, ma spesso quelli che diffondevano le peggiori malattie con cui infettare il nemico.

L’esempio più tristemente famoso viene dalla conquista dell’America seguita al viaggio di Colombo del 1492. Gli indiani che caddero sotto le armi dei feroci conquistadores furono molto meno di quelli che rimasero vittime degli altrettanto feroci bacilli spagnoli. Perché la storia è cosi sbilanciata a favore degli europei ? Perché nessun germe portato dagli indiani sterminò gli invasori, arrivò in Europa e spazzò via il 95 per cento dei bianchi ? La stessa domanda si pone per molti altri casi in cui gli indigeni furono decimati dalle malattie portate dai coloni, e – al contrario – per le perdite subite dagli europei in alcune zone tropicali dell’Asia e dell’Africa a causa delle malattie locali.

Studiando l’evoluzione della struttura della morbosità si ha la prova che durante l’ultimo secolo i medici hanno influito sulle epidemie in misura non maggiore di quanto influivano i preti nelle epoche precedenti. Le epidemie venivano e se ne andavano, esorcizzate da entrambi ma non impressionate né dagli uni né dagli altri. Esse non vengono modificate dai riti celebrati nelle cliniche mediche più di quanto lo fossero dai tradizionali scongiuri ai piedi degli altari. Una discussione sul futuro dell’istituzione sanitaria potrebbe utilmente partire dal riconoscimento di questo fatto.

Le malattie infettive dominanti all’inizio dell’era industriale illustrano in che modo la medicina si è fatta la sua reputazione.


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